Parma, il Teatro Regio e un grande Verdi

Pubblicato il 20 Ottobre 2014

Una giornata bellissima, un grande teatro italiano, con un pubblico generoso in una delle città più belle d’Italia: se poi ci metto che dietro di me c’erano due deliziose signore di Busseto capirete quanto mi sentissi in uno stato d’animo stellare. Ma vengo all’opera pericolosa e malefica che ormai credo di avere mitridatizzaro per le tante volte in cui l’ho vista quest’anno, ma per precauzione per adesso non la nomino.

Comincio la mia analisi dall’elemento che rende quest’evento decisamente rilevante: la straordinaria direzione del maestro Jader Bignamini, un giovane direttore la cui bravura e competenza è pari alla simpatia e semplicità di modi che lo rendono adorabile anche sotto il profilo umano.

La esorbitante partitura verdiana acquista sotto la sua direzione addirittura dei passaggi preziosi e mai colti prima, si sente quanto studio e quanto amore ci sia in questa sua ricerca di ogni passaggio che tutti crediamo già di conoscere e che lui ci rivela con l’intelligenza della sua ricerca musicale.

La compagnia di canto, molto omogenea e completa nella qualità di tutto il cast è veramente eccezionale perché raramente si hanno  questi livelli anche in tutti i personaggi minori che  qui sono veramente tanti.

Una messa in scena rarefatta ed elegante e qui mi fermo perché il discorso per me si fa un po’ più complicato.

© Tutti i diritti sono riservati
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Stefano Poda è un raffinato scenografo, un coreografo elegante, i suoi bellissimi costumi fuori tempo creano una grande suggestione, ma (e non me ne voglia) la regia dei cantanti dov’è?

Sicuramente è una precisa scelta, nel momento in cui fai tutto gli dai il taglio che ti è più congeniale, ma lasciare solo a Verdi, e ce n’è d’avanzo, lo spiegare per quanto è possibile la terribile storia spagnola del settecento ridondante e improbabile quanto mai, se dal lato estetico rende tutto elegantemente plausibile non potrei dire altrettanto se ci riferiamo a quel “recitar cantando “ così caro, per restare in retorica, al cigno di Busseto.

Avrei anche qualche dubbio sulla scelta filologica dell’ampliamento nel terribile atto del “rataplan” di alcuni brani da grand opéra messi da Verdi per rifarsi al gusto dell’epoca e poi in parte saggiamente già asciugati da lui nella versione della Scala.

Ma questa certamente non è una scelta da lasciare alla regia che in effetti ha fatto miracoli di raffinatezza sicuramente migliorando la versione che avevo già visto e che si riferisce al primo allestimento già passato in tv un anno fa.

Ma qui mi addentro in argomenti da verdiani doc e mi fermo perché non sono così colta da sostenere un vero dibattito...parmense.

Ho già accennato all’ omogeneità e qualità della compagnia di canto. Venendo nel particolare devo dire che mi ha piacevolmente colpito il baritono Luca Salsi, la cui voce piena e decisamente verdiana è quelle di sicuro avvenire che ti fanno ricordare i grandi baritoni della scuola italiana.

Fotografia del Teatro Regio di Parma © Tutti i diritti sono riservati
Fotografia del Teatro Regio di Parma © Tutti i diritti sono riservati

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Il soprano argentino Virginia Tola, ottima nel canto spiegato ha forse qualche piccolo problema nei filati e nelle mezze voci ma  come tutti i giovani ha ancora davanti, oltre a un sicuro avvenire, anche la speranza che possa trovare il tempo per continuare ad affinare la sua bella voce.

Roberto Aronica, una delle poche voci  in questo momento di decisa scarsità di lirici spinti  italiani, è sicuramente un tenore  che può reggere il terribile ruolo di Alvaro, magari anche lui fermandosi qualche volta a ricordare la potenza e il fascino delle mezzevoci, che non sono una diminuzione di qualità vocale , ma anzi consentono ad un cantante  come lui di arrivare anche oltre il suo buon livello senza rischiare di perdere l’intonazione.

Grande il sicuro Michele Pertusi, una garanzia nel ruolo del Padre Guardiano, ma mi sento in dovere di citarli tutti : Chiara Amarù, Simon Lim, Roberto Lupinacci, Andrea Giovannini  e tutti gli altri nei piccoli ruoli.

Ma qui mi fermo e passo alla mia solita perorazione in favore di quello che potrebbe essere un percorso per riavvicinare davvero i giovani al meraviglioso mondo del melodramma.

Ma vi pare possibile che uno che ha una palla nel petto (la palla che ha nel petto mi spaventa) non si sbottoni nemmeno il cappottone da Gestapo e che alla fine due che cantano all’unisono: a morte  a morte andiam   con le spade sguainate stiamo a mezzo palcoscenico di distanza l’uno dall’altro?

Oggi l’opera si vede al cinema, in streaming e senza pensare di avere sempre  un emulo di Robert De Niro in palcoscenico un minimo non dico di credibilità , ma di patos ce lo vogliamo mettere? I ragazzi  anche quelli che magari studiano musica  e qui in questa felice terra emiliana ce ne sono tanti  finiranno per amare si la grande musica, ma si rivolgeranno più facilmente alla sinfonica perdendo la grande gioia e la grande tradizione della conoscenza del melodramma che proprio in Italia  è nato e che viene cantato in tutto il mondo.

Questa è una grande storia di amore, di sangue, di maledizioni e vendette,

anche se Verdi in certe pagine è grandissimo non ce la fa da solo a rendere credibile il tutto.

Fin qui sono riuscita a non nominare né la Forza del destino  ma ormai il pezzetto per il blog  nel bene e nel male l’ho scritto, né altre edizioni ma devo confessare che all’una di notte , ormai al fresco delle lenzuola del mio letto ho riaperto la TV, ho cercato My Sky e mi sono fatta di Kaufmann nella grande scena di Alvaro dell’edizione di Martin Kujai, che ci volete fare … ai drogati perlomeno date il metadone!

© Tutti i diritti sono riservati

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Scritto da Adriana Stecconi Biagiarelli

Con tag #Bignamini, #La Forza del destino, #Aronica, #Tola, #Salsi, #Poda, #Pertusi, #Amaru

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A
Il...metadone!!!! Lustig!!!
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